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Bolle, mille bolle blu

La bolla è scoppiata, dicono. Ed ha sparso le sue purulenze in giro per casa. Per me la “bolla che scoppia” è al massimo quella che si manifesta sui piedi a causa di scarpe troppo strette o quella dei calli delle mani venuti in conseguenza del troppo e duro lavoro. Per me le bolle sono quelle dei giochi dei bambini di una volta. Per altri le bolle sono quelle della speculazione finanziaria, del facile guadagno, della bella vita.

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    Chiedo ora a tutti, dai media ai politicanti di turno, di destra e di sinistra, alle associazioni dei consumatori, agli industriali, ai sindacati, al postino, al fruttivendolo ed al macellaio sotto casa di <strong>non venirmi a rompere i coglioni con parole come “crisi economica”, recessione, stagnazione, pessimismo, sfiducia nel futuro etc&#8230; etc&#8230; </strong>perché io, sono anni, secoli che vivo così, in un perenne stato di precarietà ed incertezza e come me un sacco di gente, una mezza generazione direi, che tra l&#8217;altro sembra essere una delle più sfigate che si ricordi dalla Prima Rivoluzione Industriale in poi, generazione che ormai si è abituata a non aspettarsi niente dal domani, generazione a cui non sono stati fatti sconti né regali, generazione che sguazza ormai nelle sabbie mobili di una società, stanca ed affannata, come se fosse una splendida spiaggia dell&#8217;Isola dei Famosi, di una società dotata di un <strong>“ascensore sociale”</strong> fermo al settimo piano con le porte lasciate aperte da qualche anziano sbadato ed arteriosclerotico.
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      Che non ci provino a venirmi a togliere quell&#8217;unica medaglia che ci siamo conquistati sul campo, cioè quella dei <strong>campioni dell&#8217;arte di sopravvivere e di arrangiarsi</strong>, sempre e comunque, giorno per giorno. Non ammetto perciò che l&#8217;ultimo riccastro decaduto venga ad elemosinare compassione da queste parti, che stia alla larga, tanto tra me e lui non c&#8217;è storia. <strong>Io</strong>, per ritornare alle bolle, <strong>il callo l&#8217;ho già fatto, non sulle mani, ma sul sedere, a furia di prendere calci nel culo</strong>. Che sia arrivata l&#8217;ora che questi calci nel culo ce li dividiamo, equamente, (ex) ricchi e poveri? Che sia questo il sogno marxista del comunismo? Una equa distribuzione dei calci nel deretano a simbolizzare la vittoria della classe operaia sul capitale? Che non sia una generalizzata depressione e povertà la vera essenza della democrazia? Sgozzate il vitello grasso ed invitate alla vostra tavola un &#8220;figlio di notaio&#8221; ed insegnategli a vivere, questa sarà la vostra rivincita, questa sarà la nostra ricchezza.
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